Diario/Sante conversazioni

Abbagliata dalle luci del mondo8 minuti di lettura

Cometa e meteora (emoticon)

Divido la mia vita, o almeno il mio lavoro, tra tecnologia e teologia (anche se in questo titolo trovate la prova che quando parlo di te[cn]ologia parlo sempre e solo di una cosa – perdonerete l’approccio teleologico). Soprattutto, però, mi ritengo una ragazza tecnologica, proprio nel senso che funziono come un dispositivo tech: periodicamente, ho bisogno di fare dei ripristini, dei reset, a livello relazionale. Periodicamente decido che troppe cose (persone) mi stanno rallentando, che la RAM del mio cervello ha in esecuzione troppi processi alle azioni di chi ho intorno, e che la ROM parallelamente è sovraccarica di messaggi (LETTERALMENTE) inviati e ricevuti, quindi devo cancellare tutto. Anche le foto mi pesano; OGNI SINGOLA cosa memorizzata, motivo per cui quasi non ho ricordi, né materiali né mentali, dell’ultimo periodo.

Riguardo ai ricordi mentali, mi sorprendo a constatare con quanta facilità il presente sovrascriva il passato. Ringrazio Dio per questo, perché chi si guarda indietro rimane fossilizzato, pietrificato come qualche personaggio biblico… Ma penso anche: addirittura?! Hai vissuto cose così traumatiche?! Perché i vuoti di memoria sono conseguenze di esperienze traumatiche che si è vissuto, com’è noto.

Be’… non credo sia tanto per questo. Piuttosto, è l’eccesso di input che mi porta a non capirci più niente! Negli ultimi uno-due anni, a proposito di esperienze traumatiche e non, ho vissuto “molto”, per una che non aveva mai “vissuto” (almeno non come lo intendono i mondani). Ho errato molto, nel doppio senso di vagato e sbagliato, ma dei mesi scorsi mi rimane non… un ricordo nostalgico, non ne sono capace, bensì una consapevolezza e insieme una lezione o una morale bellissima!

Anzitutto, la consapevolezza. Dio mi ha sempre, sempre, sempre accompagnata, pur lasciandomi fare. In me c’era qualcosa di irrisolto, che riguardava – in fondo – le relazioni e l’idealizzazione delle persone. Secondo me, questo Padre così buono e saggio, ha ritenuto che non ci fosse altro modo, per me e per la mia durezza di cuore, che lasciarmi libera di sbagliare. Ma in fondo io non volevo proprio “sbagliare”… volevo sperimentare, e sapevo in qualche modo di potermelo permettere. Certo, spero di non essere presuntuosa, riporto quello che mi sembra… mi sembra che io rimanessi lì, stretta in un legame soffocante (più d’uno, in realtà, e a vari livelli), convinta che comunque me la sarei cavata… sarei sopravvissuta. “È vero che mi sta togliendo… ma comunque io ne ho, da farmi togliere, e rimango”. Pur non essendo affatto sicura di loro, ero sicura di me.

“Poiché, come dici, qui si tratta di un fatto ricorrente, di una inclinazione, e non solo di una persona specifica, allora il Signore sta lasciando fare. Nel 99% dei casi, quando noi sbagliamo, lo facciamo perché convinti di avere dei margini per recuperare. Di avere delle riserve. Sbagliamo solo se sappiamo di potercelo permettere. Se c’è la rete sotto, quando cadremo. Sbagliamo per conoscere. Gli errori sono esperimenti che noi facciamo per conoscere la realtà fuori di noi, specie quando siamo stati tenuti troppo e senza motivo sotto una campana di vetro, tipo soprammobile. Quando sappiamo di non potercelo permettere, di non avere alcun margine, di essere senza rete, infatti non sbagliamo. Dunque il Signore dice: vuoi sapere com’è? Ok, ora lo saprai”.

Ed effettivamente l’ho saputo. Ringrazio Iddio anche perché ha scelto proprio quelle persone, le più ideali(zzate), per suggerirmelo.

È il loro ricordo a farsi sempre più sfumato, oggi. Non il ricordo delle cose belle che, nei primissimi tempi, ho vissuto, con loro. C’è ancora spazio, credo, per la prima stretta di mano, le sante conversazioni, i primi sorrisi complici, la consolazione di aver trovato un fratello o un padre, le bonarie prese in giro, i complimenti, il solo chiamarsi per nome… e il tuo, vostro sembrarmi (la mia) mamma e (il mio) papà insieme, perché ci si innamora sempre di chi ci è familiare… Il vostro sembrarmi il mio Papà del Cielo, perché eravate e siete la Sua bellissima immagine; il Suo capolavoro.

Sono sicura che qualcuno tenterà di leggere tra le righe, cercando di capire di chi sto parlando; a chi mi riferisco. Ma io mi riferisco a tutti… e (quindi) a nessuno. Adesso lo so, che non sono mai stata innamorata di nessuno in particolare. Sono sempre stata innamorata dell’Amore. Non penso a tutti: penso al Tutto. Mio Dio, che sei Amore; mio Dio, che sei mio Tutto.

Dopo questo grande volo mistico, voglio parlarvi di Taylor Swift (scusate se ho vent’anni anch’io e sono nel pieno della mia reputation era… DON’T BLAME ME). Ovviamente non condivido tutto dei testi eccetera eccetera, però c’è una canzone che ho ascoltato on repeat per tutti questi mesi e che mi fa ridere e riflettere. Un verso è questo: “He says: ‘Don’t throw away a good thing'”. Tradotto: “Lui dice: ‘Non buttare via una cosa buona’”. Loro dicono, a me: non si butta via una cosa (apparentemente) buona. Anche una cosa, o meglio una persona, che ha margini di miglioramento. Ma io mi oppongo decisamente: non solo in certi casi non è assolutamente così, perché alcuni – più di quelli che pensate – hanno compromessa la biochimica cerebrale, ma poi io non accetterei mai di vivere una storia a metà. Pure se tutto andasse bene, rimarrei frustrata, perché andrebbe “bene” per gli standard del mondo decaduto. Io preferisco (aspettare) il Paradiso, per vivere le cose appieno. Pure quando si è felici, qui, non si è mai del tutto felici. Non si è mai pienamente appagati.

E poi non ho buttato via proprio niente: semplicemente, ritengo che tutto quello di buono che mi hanno dato, non me l’hanno dato loro. È stato Dio a darmelo, per mezzo di loro, in questo senso:

Specialmente una mattina, dopo la Comunione mi diede un lume tanto chiaro sull’amore grande che Lui mi portava e sulla volubilità ed incostanza delle creature, che il mio cuore ne restò tanto convinto, che d’allora in poi non è stato più capace d’amare persona alcuna. M’insegnò il modo come amare le creature senza discostarmi da Lui;  cioè, col mirare le creature come immagine di Dio, in modo che se ricevevo il bene dalle creature, dovevo pensare che solo Iddio era il primo autore di quel bene e che se ne era servito per mezzo della creatura di mandarmelo; quindi il mio cuore più a Dio si legava. Se poi ricevevo delle mortificazioni, dovevo guardarle pure come strumenti nelle mani di Dio per la mia santificazione; onde il mio cuore non restava ombrato col mio prossimo. Onde da questo modo avveniva che io miravo le creature tutte in Dio, [tanto che] per qualunque mancanze vedevo in loro, mai non perdevo la stima;  se mi motteggiavano, mi sentivo obbligata, pensando che mi facevano fare nuovi acquisti per l’anima mia;  se mi lodavano, ricevevo con disprezzo queste lodi, dicendo: “Oggi questo, domani possono odiarmi”, pensando alla loro incostanza. Insomma, il mio cuore acquistò tale una libertà, che io stessa non so esprimerlo.

Insomma, non ho nessun obbligo nei confronti di nessuna creatura. È stato Dio, il Primo innamorato di me, a dirmi: vedi come ti amo. Tu invece guardi e ascolti solo loro… ammiri i Miei ritratti, dimentica di Chi li ha fatti… dimenticando di glorificare il loro Autore/il loro Creatore. Ma non importa… Stando così le cose, Mi servirò di loro, per comunicarti cosa penso di te, Rossella, e chi sei ai Miei occhi.

E così le immagini si sono animate, curiosamente. E che bei versi mi hanno dedicato! Ben più romantici di Taylor Swift (RIDO)…

A proposito di canzoni, ce ne sono due che sto (ri)ascoltando in questi giorni e che mi elevano molto, nel senso che ho descritto. La prima recita: “Will follow you eternally”. Be’, certamente un verso da Dio, ma ora non mi soffermo. La seconda, invece, parla di un amante che praticamente costruisce un mondo, per far contenta la sua amata. Lo costruisce come “intorno a lei”, per incorniciare “il suo sorriso”. Tutto è stato fatto per l’Uomo, in vista dell’Uomo… tutta la creazione, è proprio così! “È per te, che ho rubato la nebbia a Napoli, che ho portato via il ghiaccio ai tropici…”.

Quale canzone dedico io, invece, a me stessa, e a tutte le luci tramontate? Senza dubbio: “Tramonterai da solo, come tutte le luci del mondo… Ti guarderò attraverso…“. E anche voi, amici, guardate attraverso, guardate oltre chi vedete con gli occhi. Meglio ancora, non guardatele proprio queste luci, con gli occhi della carne, altrimenti certamente prenderete degli abbagli.

… mi stupirò piangendo
a non riconoscere il sole
che un tempo splendeva e che adesso muore…

muore la stagione della falsità,
muore l’illusione, muore la mia età…
muore anche l’amore per un dio minore,
muore quel miracolo a metà…

muoiono i dolori della gioventù,
muoiono i ricordi e tu non sei più tu,
muoia questo regno;
oggi non ho più bisogno di un sovrano su di me…

Non c’è ragione in questa pena,
in me che aspetto un’attenzione distratta, o l’ultima cena…
finisce qui.

Prendete pure posto e
silenzio signori, che adesso il re muore…

Saprò restare solo,
nei miei occhi le luci del mondo…
le guarderò attraverso, senza chiedermi dove né quando…
mi sorprenderò ridendo
a non riconoscere il sole
che un tempo splendeva e che adesso muore…

Non riconosco (più) il Sole, in una stella cometa o meteora. “dio minore” o idolo? In fondo la prima non è neanche così sbagliata: “Non sta forse scritto: Io ho detto, voi siete dèi?”. “Miracolo a metà“. Sì, anche io lo sono stata, per qualcuno. “Mi sorprenderò piangendo”… “Mi sorprenderò ridendo”. Sì, adesso rido, ma non perché mi compiaccia di una morte o di un tramonto… rido come ride “Chi abita i Cieli”, di fronte a una caduta che ha del grottesco. Come quella descritta in Isaia 14… ma di questo parleremo sabato, in un prossimo articolo. Parleremo, cioè, di come il lume dell’intelletto non basti a salvarsi… 😉 Non si chiamava Lucifero, il più intelligente?

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