O Gesù, quante volte invece io ho desiderato che qualcuno «testimoniasse» che valgo! Ma mai nessuno ha giudicato con giusto giudizio (oggettivo… il Tuo). E allora, a che sono serviti tutti i complimenti? A che sono serviti tutti gli “status symbol”, e tra questi anche le persone che ho frequentato?
«Io non ricevo testimonianza da un uomo»1Gv 5,34., dici Tu. «… ma v’è un altro che rende testimonianza a me, ed io so che la sua testimonianza è vera»2Gv 5,32..
Il resto, che proviene dagli uomini, è falso o almeno parziale.
Io credo che tante ragazze e ragazzi, oggi, cerchino conferme del loro valore in qualcun altro. Per citare un caso eclatante, Filippo le cercava in Giulia, unica “speranza di salvezza” in una vita squallida… Non è un caso che nel suo memoriale si riferisca a lei sempre con le maiuscole, come si fa con Dio.
Non piacerò io; piacerà quello che faccio. Piacerà chi frequento, e questo mi darà valore.
È molto comune, in realtà, arrivare a idolatrare un fidanzato, uno o più amici, un professore, gli stessi genitori… Come se il loro giudizio fosse questione di vita o di morte, per di più eterna. Se ci si pensa bene, anche qualcos’altro caratterizza queste relazioni: da entrambe le parti o almeno da una si ricerca “lo status“. Non sono relazioni in cui si va in profondità; l’intimità anzi è rifuggita, mentre si impegnano energie per “piacere”. Le relazioni, insomma, diventano l’ennesimo ambito in cui essere performanti.
Si pensi a quello che il padre di Filippo gli dice a colloquio: «… però ti devi laureare». Ovviamente non si può definire la qualità di un rapporto da una singola uscita, né è mia intenzione portare sul banco un ulteriore imputato… però è un elemento che prenderei in considerazione.
Io ipotizzo che Turetta e altri, tanti altri come lui siano stati “allevati”, più che “educati”. E allevati, nello specifico, come bestie da soma. Intelligente e bravo almeno nelle materie scientifiche, questo ragazzo non ha ricevuto alcuna formazione emotiva. Non perché i genitori fossero cattivi, ma semplicemente perché, forse, erano “incapaci”.
Dal memoriale si capisce che Filippo aveva una certa ansia sociale, ma in primis un concetto sbagliato di socialità e relazioni. Non c’era spontaneità, in quello che faceva. Agiva per emulazione, animato dall’invidia (da quello che vedo, l’unica emozione di livello superiore che era in grado di provare), e non perché gli piacesse davvero stare con gli amici o con Giulia. Ho sentito dire «la chiave dell’ossessione non sta nella specialità di Giulia, ma nella non specialità di Filippo», e sono molto d’accordo. Certamente Giulia era speciale, ma lui non aveva una visione oggettiva di lei. Aveva una visione soggettiva, cioè di lei in funzione di lui, come se questa fosse un suo accessorio o uno “status symbol”.
Nella prima parte del diario, in cui lui si sofferma sul “prima e dopo” Giulia, quello dell’invidia è un tema fondamentale (ma l’invidia è stato anche il movente dell’omicidio). Filippo scrive che invidiava molto i suoi coetanei socialmente più abili, avrebbe molto voluto essere al loro posto. Quando Giulia gli ha teso metaforicamente la mano, per tirarlo fuori da questo stato di miseria umana, Filippo ha sentito per la prima volta di “star funzionando”. Essendo rotto dentro, non avrebbe mai potuto funzionare veramente, ma apparentemente sì. D’altra parte, è questo quello che conta, per la società…
Ora vorrei analizzare il punto di vista di Giulia, ma forse è più conveniente che analizzi il mio, in una situazione simile. Nella società dell’apparenza e della performance, io sarei stata tentata a… stare al gioco. Apparentemente, Filippo è perfetto: carino (nonostante lui creda di no, il che lo rende ancora più tenero e amabile), studioso (un “ingegnere biomedico”, wow!) e così simile a me, o forse uguale e contrario. È bella, poi, l’idea di avere un complice in questa vita… è bello costruirsi un piccolo mondo tutto proprio e fare invidia, con questo, al mondo “ufficiale”…
«Noi soli contro il mondo»: ma questo secondo-mondo-secondo-noi finisce per implodere!
Nei libri, nei film o su Instagram è pieno di coppie o gruppi di amici iconic. Nella finzione, queste cose funzionano eccome, così come nella realtà fittizia – illusoria – che ci rappresentiamo sognando. Di questo però ho già parlato qui e qui, perciò non mi dilungo.
Il punto è che nella realtà vera, invece, MAI le relazioni sono rose e fiori; per tanta parte di sollievo che un’amicizia può offrire (sporadicamente), ce n’è in serbo un’altra equivalente, se non maggiore, di fastidio e dolore.
Lo scrivevo anche qui, ma in termini diversi, più generici:
Ciò detto, come può un essere umano vedere “la sua salvezza” in un altro essere umano, uguale a lui se non peggiore? Una relazione vuol dire SEMPRE, sistematicamente, sommare problemi a problemi. I problemi di uno ai problemi dell’altro, su tutti i livelli di vita.
Io vedo molti che partono dal presupposto di risolverli, questi problemi, “se solo avessero qualcuno che…”. CHEEEEEEE??????? Numero 1, se la pensate così, non avete capito niente di niente e vi consiglio di rivolgervi a uno bravo, lo psicologo Domenico Armiento (guardate i video su YT); numero 2, non salti in mente a nessuna di fare la crocerossina, né di avere nessunissima pietà degli ammalati di mente. O meglio, la pietà dovete averla, ma a 486456784 chilometri di distanza.
Altre red flag, frasi come «non posso vivere senza di te», che oltre a essere stereotipate e indice di uno che segue il “libretto di istruzioni” per “amare” (o qualcosa che gli somigli, va bene lo stesso) sono bestemmie.
Conclusione: a fidanzarsi e ad avventurarsi in amicizie troppo strette sono solo 1) gli scemi; 2) i superficiali; 3) i masochisti; 4) i masochisti annoiati (io); 5) gli aspiranti santi in stile santa Rita o santa Gianna Beretta Molla…
A meno che non abbiate a Chi offrire le vostre sofferenze, come queste ultime avevano, vi sconsiglio di farlo. Se non vivete in grazia di Dio, insomma, è abbastanza insensato (come tutto il resto della vita).
Ma come potete credere voi, che vi glorificate a vicenda, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?
Gv 5,44
P.S. Ho detto società dell’apparenza? Volevo dire società del narcisismo.
P.P.S. Giulia, così come me e tante altre ragazze e ragazzi, aveva valore da sola. DA SOLA, sottolineo. Non aveva bisogno di accessori, cioè di zavorre (gli accessori umani, soprattutto, sono un bel po’ pesanti). Di sposarsi e fare figli (come, poi?) sono capaci tutti (soprattutto se poi li crescono come animali… da animali non possono che venire altri animali). C’è chi è fatto per altro, per cose più grandi. Più spirituali? No; semplicemente più umane.
P.P.P.S. A proposito di desiderio di complicità e di flexare le varie conquiste al pubblico… riscontro questo, purtroppo, anche in molti consacrati, come se avessero carenze di affetto. Come se – di fatto – l’Infinito non gli bastasse. Penso a preti con una o più platoniche-cagnolino al seguito, ma anche a chi si propone come “guida spirituale” (AHHHHHH) senza che nessuno gliel’abbia chiesto… Cari Padri, la testimonianza!!! Ma soprattutto, voi meglio di tutti dovreste conoscere l’animo umano… ancora vi affascina? Ma va bene, per ora… tanto prima o poi finirà…
P.P.P.P.S. Comunque, alla fine dei conti, non interessa a nessuno delle “conquiste” altrui e della vita altrui. O almeno, interessa relativamente, prevalentemente ad altri psicopatici (che osservano, invidiano e cercano di emulare). Soprattutto, i gusti sono soggettivi: un tipo bellissimo per voi potrebbe essere uno sgorbio o “niente di che” agli occhi degli altri. Quindi? Non è meglio badare alla Virtù oggettiva? «Di Lui io mi vanterò!» (cit. san Paolo, 2Cor 12,5).
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