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Compagni o amici?2 minuti di lettura

Emoticon stretta di mano con accanto il cuore giallo

I mondani usano con grande disinvoltura il termine “compagno”, o “compagna”. Questa dicitura dilaga/ha dilagato in certi ambienti politici, ma è anche comune che qualcuno la usi per designare la persona con cui ha una relazione pseudo-romantica.

In ogni caso, qualunque sia il contesto, la scelta di questo termine non è casuale. O almeno, riflettendoci cristianamente, è molto significativo che i comunisti si chiamino tra loro “compagni” e che chi convive more uxorio, chi ha relazioni che somigliano più a quelle di bruti, che di esseri umani, faccia altrettanto (“il mio compagno”, “la mia compagna”…).

… c’è chi è amico compagno di tavola, e non rimarrà nel giorno della necessità.

Così scrive il Siracide, nel capitolo 6 dedicato all’amicizia. Questo versetto in particolare, il 10, dice esattamente che cosa caratterizza il tipo di relazioni a cui abbiamo accennato sopra. Che cosa, dunque? Risposta: un qualche tipo di utilità (cfr. il video sull’amicizia in Aristotele); o, meglio ancora, il piacere. L’egoismo.

Siracide fa riferimento esplicito ai piaceri “della tavola”, ma il discorso è facilmente estendibile a utilità/piaceri di altro tipo. Per capire meglio, si pensi proprio a due conviventi che stanno insieme fin quando qualcosa non va. Tradotto: finché gli conviene reciprocamente [egoisticamente].

L’amicizia, così come l’amore1Ma l’amore è sempre fondato sull’amicizia e il fidanzamento – così si deve chiamare, non “frequentazione”! – non è e non dev’essere niente di più che un’amicizia particolare., è sempre altruistico. E si cura del Bene, proprio e altrui, che non sempre coincide con il benessere.

Convivenza, sottolineo ancora, fa rima con convenienza. “… non rimarrà nel giorno della necessità”, ma solo fin quando potrà trarre dall’altro qualche beneficio, se non “godimento”2Mi dispiace sempre parlare di queste cose, ma è questo che fanno i cosiddetti “umani”!.

Naturalmente, due capricciosi, indisciplinati e incapaci di dominio di sé non sceglieranno mai di unirsi nel vincolo del matrimonio. Molto meglio una libera convivenza, per essere liberamente schiavi delle passioni, o anche solo di qualcosa di effimero come il sentimento (che scientificamente passa nel giro di qualche mese, a meno di non essere dei bravi manipolatori emotivi, giacché il sentimento non ha niente di spirituale o elevato3Potrebbe averlo, nel potenziale, ma le misere tracce del peccato non solo offuscano, ma rovinano tutto. Il punto è anche nell’emotività, in una condizione di natura integra, non ci sarebbe niente di male, ma qui l’altro può far leva sulle nostre ferite emotive, e così “indurre” in noi l’innamoramento. Così, l’innamoramento, da gioco di sana e santa complementarietà, diventa gioco di malata e talvolta “dannante” compensazione. Vince, in “amore”, chi è capace di capire cosa è familiare all’altro ed è bravo a replicarlo. Si badi che “familiare” non è per forza “positivo”, anzi. Esercita un’azione attrattiva perché conosciuto, non perché buono. Così come lo sconosciuto respinge non perché cattivo, ma perché non-familiare., ma è questione 100% di emotività. Oppure ancora, si può fare in modo di sviluppare non una relazione, ma una reciproca dipendenza affettiva… ma questo è un altro grande tema, che potrebbe meritare un articolo a parte).

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