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Perché le donne devono stare lontane dal presbiterio7 minuti di lettura

Maria santissima riceve la Comunione dall'apostolo san Giovanni

Maria santissima riceve la Comunione dall’apostolo san Giovanni.

Titolo provocatorio nel tono, quello scelto, ma da ritenere sostanzialmente. Il riferimento, si capisce, è alle aperture fatte nel 2021 con il motu proprio Spiritus Domini, con la contestuale modifica del canone 230 del CIC: da allora, è consentito alle donne di accedere ai ministeri del lettorato e dell’accolitato, intesi “pur sempre” – si dice – come ministeri “istituiti” e non “ordinati”.

Partiamo da qui perché, a nostro avviso, questa pur “piccola” apertura è più pericolosa di quanto potrebbe sembrare.

Se si conosce la storia e si è imparato – tra le altre cose – a riconoscere il modus operandi del diavolo, verrà spontaneo interpretarla come una mossa veramente serpentina (al di là di quanto fosse consapevole l'”esecutore materiale”, a cui va sempre, senza ombra di dubbio, concessa la buona fede). Tutte le peggiori aberrazioni sono state sdoganate a poco a poco, in maniera strisciante, senza quasi che ce se ne rendesse conto (vd. finestra di Overton o il “principio della rana bollita”).

Si tratta in effetti di una condotta tipicamente diabolica. Avviene così anche a livello “micro”: sempre, prima di assediare un’anima, il diavolo apre delle brecce. Con l’anima, dall’altra parte, che lo lascia fare in nome del “che sarà mai”, “per una volta”, “è solo un’eccezione“…

Il punto è proprio questo: l’eccezione. La storia ci ha ampiamente dimostrato che l’eccezione diventa sempre la regola. Si pensi, concretamente, a come è avvenuto lo sdoganamento della Comunione sulla mano, che a dire il vero ancora oggi rappresenta la “forma straordinaria” per la ricezione dell’Eucaristia (la “forma ordinaria” rimane quella che consiste nel ricevere la particola direttamente sulla lingua). Si pensi, ancora, a quale sia l’abito ordinario del clero cattolico (la veste talare), mentre ad oggi quasi tutti approfittano della concessione relativa all’uso del clergyman…

Insomma, il sospetto è che – anche in questo caso – le aperture di cui sopra siano solo il preludio (necessario) a qualcosa di peggiore.

Alludiamo, ovviamente, al cosiddetto “sacerdozio femminile”; “cosiddetto” perché una donna non potrà mai diventare “sacerdotessa”, essendo il sacerdozio maschile per diritto divino.

La prima prova di ciò viene direttamente da ciò che ha fatto Gesù: pur avendo a disposizione l’essere umano più degno di un così grande onore (non esiste niente di più grande del sacerdozio, per certi aspetti!), non rese mai “sacerdotessa” Maria santissima. Obiezione solita: i tempi non erano maturi (la donna all’epoca non aveva una così grande rilevanza sociale, per non dire che non ce l’aveva affatto). Ma non è possibile che Gesù si curasse di questo, da riformatore (non “rivoluzionario”) qual era. Del resto, non precluse alle donne l’accesso alla schiera dei suoi intimi: quale rabbi aveva delle donne tra i suoi discepoli?

Badate bene: “discepoli”, non “apostoli”. Solo questo non permise Gesù: non permise, cioè, che alcuna donna – nemmeno la “Perfettissima” non solo in quanto donna, ma in quanto essere umano – ricevesse l’Ordine sacro. Ordine sacro che invece ricevettero i Dodici [uomini].

Nel caso in cui questo non basti, possiamo fare riferimento al Magistero definitivo della Chiesa cattolica, ovvero al pronunciamento di san Giovanni Paolo II contenuto nella lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis del 22 maggio 1994:

Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa.

OS 4

Per quanto alcuni nutrano dubbi sulla natura di questo pronunciamento (se sia da intendersi ex cathedra oppure no), rimane il fatto che non si possa mettere in discussione, pena incorrere quantomeno in un grave errore. Se davvero si trattasse di un’espressione ex cathedra, chiunque la negasse sarebbe tacciabile di eresia e incorrerebbe nella scomunica latæ sententiæ; dal momento, però, che sembrerebbe non avere tutti i crismi di un’affermazione definitoria, la stessa non è stata universalmente “presa sul serio”.

È opportuno chiarire che Magistero definitivo e Magistero definitorio sono parimenti infallibili. Questo è un punto fermo. L’affermazione in oggetto non pertiene al Magistero definitorio (ma solo al primo) per il fatto di non essere stata espressa come dogma (almeno secondo alcuni interpreti: chi scrive, invece, ha più di qualche remora…), ma rimane comunque indiscutibile (“deve essere tenuta in modo definitivo”).

Ciò che rende dubbia l’interpretazione è proprio quella specifica espressione usata dal Papa: “in modo definitivo [e non definitorio]”. A parere di alcuni, me inclusa, si tratterebbe però solo di un cavillo; tanto più che, subito prima, il Papa usa la parola “sentenza”, richiamando così il valore delle sentenze dogmatiche.

Merita un’analisi anche la proposizione “che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa”, che potrebbe evidenziare come il sacerdozio sia stato “divinamente costituito” in questo modo (e cioè avente come materia propria un essere umano di sesso maschile).

Ora; sarebbe comprensibile se qualcuno si chiedesse perché, effettivamente, una donna non potrebbe essere ordinata.

Si badi bene, in primis, che se la materia non è quella propria, quella valida, i sacramenti semplicemente non funzionano. Meglio: non sussistono. Un vescovo potrebbe anche, per assurdo, imporre le mani su una battezzata di sesso femminile, ma quest’ultima non riceverebbe mai l’Ordine sacro. È ontologicamente impossibile; non ne è “capace” (in senso etimologico)!

Ma perché questa distinzione che sembra discriminazione, tra l’uomo e la donna, in ambito ecclesiastico? Perché – più in generale – questa subordinazione che sembra asservimento, in ambito cattolico?

Per rispondere a queste domande, occorre risalire al progetto originario di Dio. È vero che la donna è soggetta all’uomo (per sua natura, che lo voglia o no), ma la soggezione non implica l’essere una specie di minus habens. Anzi, se dobbiamo dirla tutta, nell’attuale economia del cosmo, chi si fa soggetto è più grande! Dimostra di essere “più grande” almeno in virtù…

Chiunque vorrà essere grande tra voi, sarà vostro servo; e chiunque tra voi vorrà essere primo, sarà servo di tutti; perchè anche il Figliuol dell’uomo è venuto non per esser servito, ma per servire e dare la sua vita come redenzione per molti.

Mc 10,43-45

L’essere “soggetti”, in generale, non implica una minore dignità. “Soggetto” potrebbe addirittura essere sinonimo di “degno di una custodia, di un riguardo particolare, in quanto particolarmente prezioso (sta in queste considerazioni anche il senso del velo muliebre).

Entro la Santissima Trinità sussiste un simile legame di soggezione

Abbiamo citato Nostro Signore, il quale fa notare che Lui stesso “serve”. Lui stesso, se ci pensiamo, è “subordinato” rispetto al Padre (che sia arrivato a farsi servo anche di noi, per la nostra redenzione, è tanto scandaloso quanto commovente. Ma soffermiamoci sulla prima specie di subordinazione).

Anche il Figlio, entro la Santissima Trinità, è soggetto al Padre. Ma questo forse lo rende meno degno? Domanda evidentemente retorica. Dio è Padre e Dio è il Figlio; allo stesso modo, essere umano è l’uomo e essere umano è la donna. Vedete, come tutto torna…?

Creò Iddio l’uomo ad immagine sua; ad immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

Gen 1,27

È stato solo con il peccato originale, che il “sacrosanto” assoggettamento si è confuso con una specie di dominio (tende sempre a diventare tale, quantomeno. Una traduzione forse non letterale, ma significativa, di Gen 3,16 recita: “verso di lui sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”). Da qui le ribellioni e le rivendicazioni, talvolta giustificabili, della donna.

La conclusione, derivata e necessaria, è che se l’uomo e la donna fossero uguali, avrebbero a ragione gli stessi ruoli, anche all’interno della Chiesa. Ma se l’uomo e la donna fossero effettivamente uguali, logica vorrebbe che non faremmo questa distinzione nemmeno sul piano dialettico, tra le due “configurazioni” dell’essere umano. In altre parole, non li chiameremmo “uomo” e “donna”!

Non a caso, il mondo moderno va sempre più verso l’annullamento (apparente: non ha potere di intervenire sull’ontologia) di questa distinzione. A partire proprio dal piano del linguaggio (“non si dica ‘uomo’ o ‘donna’: si dica ‘persona’!”). Ma questo è un altro macro-tema, che potremmo eventualmente trattare in un prossimo articolo.

+++ Nota di don Nicola Bux, ovvero due argomenti ulteriori: che Gesù non sia stato condizionato dal suo tempo, lo dimostra il fatto che in altri culti vi fossero le “sacerdotesse”; inoltre, Egli ha ideato la Chiesa come Sua Sposa, quindi non poteva ideare l’organo generatore che, nei secoli, l’avrebbe resa Madre, se non nel sacerdote, uomo, pena il postulare un atto contro natura. +++

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