Padre Alexandre Siniakov, ieromonaco franco-russo autore di Come la folgore sorge da Oriente (Premio Miglior libro di spiritualità 2018 in Francia)
La tua nascita, o Cristo, nostro Dio, ha fatto sgorgare nel mondo la luce della scienza; grazie a essa, coloro che adoravano gli astri, da un astro hanno imparato ad adorare te, Sole di giustizia, e a conoscerti, Oriente venuto dall’alto. Signore, gloria a te!
Tropario dell’ottava di Natale
Era il 24 ottobre 2019, quando mi imbattevo “per caso” in un articolo di Avvenire dal titolo La «cattolicità ortodossa» di Siniakov. “Cattolicità ortodossa” la trovavo un’espressione familiare; mia, direi pure, dal momento che mi è sempre piaciuto giocare con le parole e con le loro molteplici significazioni. “Cattolicità ortodossa”, per me, non era un sofisma, e nemmeno un arzigogolo lessicale con cui abbellire il solito discorso dai toni ecumenicamente corretti. Probabilmente – non conoscendo ancora Siniakov – avevo una reminiscenza degli scritti di un altro (ex) “ortodosso”1Scriviamo “ortodosso” tra virgolette perché la fede “ortodossa” non è tale in senso etimologico. Non del tutto, almeno!, Vjačeslav Ivanov, poeta russo di fede cristiana vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nel 1926, anno della sua conversione, Ivanov indirizzava una lettera all’amico e collega Charles Du Bos, a cui confidava il suo stato d’animo con quell’abilità comunicativa propria di chi la linguistica, in quanto scrittore e poliglotta, doveva evidentemente conoscerla bene. In particolare, il poeta ragionava sul termine “ortodossia”, riportandolo al suo significato primitivo-etimologico di “retta opinione” (“ortodosso”, dal greco ορϑόδοξος [orthódoxos], è composto da ὀρϑός [orthós] “retta, corretta” e δόξα [dóxa] “opinione”, per l’appunto).
Indice
Respirare a pieni polmoni la pienezza della verità
Il neocattolico Vjačeslav Ivanov confessava allora di sentirsi «per la prima volta ortodosso nella pienezza dell’accezione di questa parola, in pieno possesso del tesoro sacro, che era mio dal battesimo, e il cui godimento non era stato da anni libero da un sentimento di malessere, divenuto a poco a poco sofferenza, per essere staccato dall’altra metà di questo tesoro vivo di santità e di grazia, e di respirare, per così dire, come un tisico, […] con un solo polmone».
Oltre all’abilità comunicativa, le poche righe sopra denotano anche l’attitudine pratica di un esperto antropologo, capace di tratteggiare sapientemente l’anatomia umano-ecclesiale del corpo di Cristo, la Chiesa, che per san Giovanni Paolo II non poteva respirare cristianamente, cattolicamente se non con due polmoni, orientale e occidentale2Il pontefice polacco farà suo il pensiero del letterato russo, arrivando a citarlo, il 31 maggio 1980, durante l’incontro a Parigi con i rappresentanti delle comunità cristiane diverse da quella cattolica.. Una similitudine, quella tra Cristo (il suo corpo) e la Chiesa, fondata sul fatto che entrambe queste realtà si possono definire “teandriche”, partecipi cioè nel loro carattere di una doppia natura divina e umana.
Nella loro (divino)umanità, dunque, Cristo e la Chiesa necessitano di due polmoni; due polmoni come parti di un unico grande apparato respiratorio, che cooperano così a mantenere in vita l’organismo (“cristico” o ecclesiale che sia). È un corpo non semplicemente ecumenico, ma “cattolico”, parola anche questa da intendersi in senso etimologico.
Quella che per gli occidentali si chiama “cattolicità”, per gli orientali è “sobornost”, ma il significato è il medesimo, vale a dire “universalità”. Un’universalità che – in quanto tale – non ammette divisioni, pur comprendendo al suo interno una molteplicità di carismi diversi e perciò complementari.
Il discorso fatto finora non si applica alla “sostanza” della cristianità orientale e occidentale; non si discute, cioè, sulle differenze dogmatiche3Mi piace citare, qui, padre Paisios del Monte Athos (1924-1994), monaco “ortodosso” a cui sono particolarmente affezionata che – dalla sua personale prospettiva – usava sottolineare la stessa cosa in relazione ai cattolici. tra fede cattolica e fede “ortodossa”, che sono innegabili e – in certi casi – del tutto inconciliabili, a patto di sconfinare nel peccato mortale di scisma4Un cattolico che abbracciasse la fede “ortodossa”, per esempio, non andrebbe esente da colpa grave.. Esso attiene piuttosto alla “forma” del culto reso a Dio, perché solo nella Chiesa cattolica si trova «la pienezza della grazia e della verità» (“subsistit in” è la formula inequivocabile usata a tal proposito nella costituzione dogmatica Lumen gentium del 1964).
Modo d’intendere orientale e conoscenza occidentale
«Prendi il modo d’intendere dell’oriente e la conoscenza dell’occidente, poi mettiti a cercare», esortava a ragione qualcuno, sintetizzando al meglio l’ambiziosa “morale” del mio scritto.
È fuor di dubbio che la “conoscenza” dell’occidente sia più avanzata, più completa, più piena rispetto a quella dell’oriente (proverbiale la maggiore industrializzazione e ricchezza dell’ovest del mondo, anche se – in epoca recente – questa prassi storica sta venendo gradatamente smentita dalla crescita economica sempre più rapida, tra gli altri, del paese “del sol levante” per antonomasia).
Quanto al “modo d’intendere”, invece, resta da vedere se in occidente siano tutti pronti a ospitare questa “conoscenza”, in che misura (tenuto conto che è vastissima) e con quale approccio sensitivo-intellettuale. Esempio: troppo spesso, nella nostra società, si dà per scontato l’esser stati “fatti cristiani”5Recita la preghiera del Ti adoro del mattino. e si trascura di attingere al prezioso deposito della fede divina e cattolica (in altre parole, si trascura di formarsi). Ciò, secondo me, avviene più raramente tra gli “ortodossi”, che dei cristiani rappresentano una minoranza e – di conseguenza – si mostrano particolarmente gelosi del loro bagaglio religioso, visto come qualcosa da salvaguardare proprio in virtù della sua rarità. Il più delle volte, in questo caso, c’è in ballo una scelta di fede operata consapevolmente, preparandosi anche a difenderla a fronte di eventuali detrazioni.
Ad orientem… versus Deum. La bellezza della liturgia
Ricapitolando: nell’occidente cristiano si trova la pienezza della conoscenza; nell’oriente, vantaggiosi modi d’intenderla (assimilarla). È questo un concetto fatto proprio dalla Chiesa bizantina in Italia, la quale conserva tutt’oggi strutture liturgiche riconducibili a quella peculiare tradizione etno-linguistica e storica ereditata dai primi cristiani. «L’Italia ha ricevuto e trasformato il retaggio della Grecia e di Bisanzio», assumeva al riguardo il nostro Ivanov, in riferimento non solo alla questione religiosa, ma a quella più genericamente “culturale” del bel paese. A riprova di ciò, sono innumerevoli le testimonianze dell’influenza greco-bizantina nell’arte e nella lingua6Basti pensare a certi toponimi di evidente derivazione ellenica. delle regioni del sud, in primis Calabria e Puglia.
Potrei riassumere questa tesi in due frasi proverbiali: una è “la luce viene dall’oriente”; l’altra, variante in latino comparsa già nel medioevo, è “ex oriente lux, ex occidente lex”. Sul vocabolario Treccani, alla voce “oriente”, si trova una spiegazione esaustiva di entrambe: la prima è «usata in senso metaforico con interpretazioni varie, riferita ora alla luce del Vangelo, ora al fascino esercitato anticamente dalle civiltà orientali sul mondo greco, o più ampiamente al contributo che tali civiltà hanno recato al formarsi della civiltà mondiale»; la seconda «attribuisce all’oriente la sapienza, all’occidente, cioè a Roma, la fonte del diritto».
Desidererei ora approfondire il capitolo liturgia, prendendo in prestito, come incipit, le parole di papa Francesco, anch’egli dimostratosi fin dalla sua elezione un discreto estimatore della sensibilità cristiano-orientale. Nella “Divina Liturgia” (ritengo si chiami così non a caso), gli atti di culto sono suggestivi e densi di sacralità, di mistero, di sano misticismo. Il Santo Padre lo sottolineava in questo intervento, durante il volo di ritorno dalla XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù:
Nelle Chiese ortodosse, hanno conservato quella pristina liturgia, tanto bella. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione. Loro lo conservano, loro lodano Dio, loro adorano Dio, cantano, il tempo non conta. Il centro è Dio, e questa è una ricchezza che vorrei dire […]. Una volta, parlando della Chiesa occidentale, dell’Europa occidentale, soprattutto la Chiesa più cresciuta, mi hanno detto questa frase: «Lux ex oriente, ex occidente luxus»7Da notare la licenza: il “luxus” ha preso il posto della “lex”.. Il consumismo, il benessere, ci hanno fatto tanto male. Invece voi conservate questa bellezza di Dio al centro, la referenza. Quando si legge Dostoevskij – io credo che per tutti noi deve essere un autore da leggere e rileggere, perché ha una saggezza – si percepisce qual è l’anima russa, l’anima orientale. È una cosa che ci farà tanto bene. Abbiamo bisogno di questo rinnovamento, di questa aria fresca dell’Oriente, di questa luce dell’Oriente. Giovanni Paolo II lo aveva scritto nella sua Lettera. Ma tante volte il luxus dell’Occidente ci fa perdere l’orizzonte. Non so, mi viene questo di dire.
Frequenti le espressioni come “lux”, “luce” e “orizzonte”, che rimandano alla folgore e al sole, i due elementi “illuminanti” per eccellenza. Peraltro, sia la folgore che il sole vengono da oriente e brillano fino a occidente; così anche, secondo Mt 24,27, sarà la venuta del Figlio dell’uomo, del sole di giustizia descritto in Mal 3,20.
Non ti sembri poi senza senso il fatto che [il sangue dell’alleanza8Cfr. Mt 26,28] è sparso sul lato orientale. La propiziazione ti è venuta dall’oriente. Di là è infatti il personaggio che ha nome Oriente, e che è diventato mediatore di Dio e degli uomini. Sei invitato quindi per questo a guardare sempre ad oriente, da dove per te sorge il sole di giustizia, da dove per te sempre nasce la luce, perché tu non abbia mai a camminare nelle tenebre, né quell’ultimo giorno ti sorprenda nelle tenebre. Perché la notte e l’oscurità dell’ignoranza non ti si avvicinino di soppiatto; perché tu abbia a trovarti sempre nella luce della conoscenza, e nel giorno luminoso della fede e sempre ottenga il lume della carità e della pace.
Origene, Omelie sul Levitico (185-254)
Non è «senza senso» nemmeno il fatto che la messa nella «forma straordinaria del rito romano»9Motu proprio Summorum pontificum, art. 1. (la messa cosiddetta “tridentina”, normale per quattro secoli nella Chiesa latina fino alla promulgazione della nuova edizione del Messale romano del 1962) sia celebrata con l’altare rivolto ad orientem; in altre parole, versus Deum.
Per solennità, forse, il rito romano antico eguaglia il rito bizantino. Si pensi solo al canto liturgico “ortodosso”, ai tropari e ai vari inni rigorosamente privi di accompagnamento musicale, e li si paragoni al canto gregoriano: io personalmente trovo che vi sia quantomeno una certa somiglianza.
Questa prima funzione ortodossa alla quale partecipavo fuori dalla chiesa di Levokumski mi sbalordì. Il canto era di una tale bellezza che non avrei mai immaginato. Quello che ascoltavo non aveva niente a che vedere col coro delle signore della mia parrocchia. Il salmo 103, che apre la celebrazione dei vesperi, mi emozionò particolarmente: «Benedici il Signore, anima mia! Sei così grande Signore mio Dio! Rivestito di maestà e di splendore…».
La maestà e lo splendore della liturgia nella Trinità di San Sergio mi sembrava riflettessero fedelmente quelli del cielo. Vi trovai una conferma per la mia vocazione monastica: avrei voluto partecipare tutti i giorni a liturgie così.
Alexandre Siniakov, Come la folgore sorge da Oriente, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2019
Identità e alterità
Un po’ come Ivanov, anche Siniakov si è trovato a confrontarsi con diverse identità cristiane e, cosa ancora più importante, con la sua personale identità di cristiano. Proveniente da una famiglia di “Vecchi credenti” (questo il nome degli “ortodossi” che non hanno aderito alle riforme liturgiche10Una delle “rivoluzioni” più evidenti riguardò il segno della croce: se prima lo si faceva con indice e medio tesi e il resto delle dita piegate e congiunte, dal 1635 è in uso praticamente l’opposto (prime tre congiunte e anulare e mignolo piegati). del patriarca Nikon di Mosca a metà del XVII secolo; sono stati formalmente scomunicati nel 1666), Alexandre, oggi père Alexandre, ha abbracciato solo in un secondo momento la “fede ortodossa” propriamente detta. In Come la folgore sorge da Oriente (Edizioni San Paolo), il libro rivelatore che dà il titolo a questo post e che ho scoperto grazie ad Avvenire, Alexandre Siniakov racconta, tra le altre cose, del suo doppio battesimo:
Raramente mi sono sentito più confuso di quando ho pronunciato le parole: “Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati”. Il mio battesimo amministrato dai Vecchi credenti era un vero battesimo, ne sono convinto, ma non dubito neanche della validità del secondo, che ho ricevuto serenamente, per obbedienza, come se dicessi “sì” al volere di Dio. Riconosco l’anomalia di questa esperienza ma, ormai, la accetto, cercando perfino di vedere nei miei due battesimi il segno dell’infinita misericordia del Signore, sempre pronto a tollerare le nostre incoerenze, a perdonare le nostre debolezze, a ricominciare con quelli che si sono allontanati, a offrir loro una nuova possibilità di ritrovare la comunione con lui.
Alexandre Siniakov, Come la folgore sorge da Oriente, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2019
Come la folgore sorge da Oriente non è né un’autobiografia né un testamento spirituale; il suo autore la definisce piuttosto una «testimonianza della cattolicità della mia ortodossia», che, durante la lettura, dal mio punto di vista, è divenuta l’attestazione ulteriore dell’ortodossia della mia cattolicità, dell’alterità (oggettiva, il contrario dell’identità soggettiva) della mia vocazione cristiana.
È questa la speranza che mi dà la forza di sopportare il fatto di essere uno straniero per la maggior parte delle persone che mi vedono. Non sono più un vero Russo per i Russi; non sarò mai un vero Francese per i Francesi. Gli Ortodossi sospettano che io sia un filocattolico. I Cattolici mi vedono diverso da loro. Questa situazione non mi preoccupa. Era la condizione dei miei antenati, Cosacchi nekrassoviani, in Turchia e in Russia. Era quella di san Paolo nei confronti degli Ebrei e dei Greci. È la posizione dei cristiani nei confronti del mondo. E questa alterità, che è imposta a ogni discepolo di Gesù, è la stessa che si vive nel modo più palese nel monachesimo.
Alexandre Siniakov, Come la folgore sorge da Oriente, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2019
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